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Abstract :
[it] Ardimentoso sul suo cavallo, intento a scagliare la lancia, eternato nell’atto di trafiggere il drago, nelle lettere e nelle arti, San Giorgio è il simbolo dell’archetipo primo dell’etica: la lotta del Bene contro il Male.
Nella narrativa del secondo Ottocento, il nome Giorgio ricorre con una non casuale insistenza: le opere di Verga, Tarchetti e D’Annunzio pullulano di protagonisti maschili che del martire cristiano sono l’immagine contrastiva e rovesciata; il tropeoforo, calato in un contesto borghese, affronta un nuovo avversario, un nuovo monstrum mefistofelico: la donna fatale. Si propone un’analisi dei romanzi La Sfinge (1897) di Luigi Capuana, L’avvocato Danieli (1889) di Ferdinando di Giorgi e Quaderni di Serafino Gubbio operatore (1915, 1925) di Luigi Pirandello, incentrata su un raffronto sinottico delle protagoniste femminili, Fulvia, Dora e Varia, rispettivamente sfinge enigmatica, sirena ammaliante e tigre «più della tigre». In tutte e tre le opere, l’imperturbabilità o presunta tale dell’io maschile – il commediografo Giorgio Montani, l’avvocato Giorgio Danieli, il pittore Giorgio Mirelli – è irrimediabilmente violata dal progressivo acuirsi dell’amore per la «Nemica», sentimento morboso e oscuro, voyeuristicamente notomizzato dai narratori, sulla falsariga di Bourget nel caso di Capuana e Di Giorgi, con approccio «tecnomorfo» (Mazzacurati) in Pirandello, a testimonianza di quella ginofobia «che è un dato costante nella cultura di fin de siècle» (Baldi).